La dimensione di “vittima civile” è un fenomeno collettivo drammatico e complesso, costituito da disgregazione dei legami tra individuo e collettività, cambiamento dei valori culturali e variazione della struttura sociale. La seconda guerra mondiale, i campi di concentramento, i genocidi su base etnica delle attuali guerre civili, nei conflitti dichiarati o meno, sparsi in tutto il mondo, costituiscono i cosiddetti “crimini dell’odio,“  ovvero condotte violente perpetrate ad un soggetto sulla base di motivazioni razziali, di etnia, religiose, di appartenenza ad un gruppo sociale.

La negazione dell’altro è la componente fondamentale per commettere discriminazioni, violenze e massacri.

Nelle guerre, alla cui origine vi è una forte propaganda, viene sempre messo in atto il meccanismo di deumanizzazione: le stragi nazifasciste, i campi di concentramento, ne sono tuttora un’atroce testimonianza.

L’evento tragico della guerra che impatta sull’esistenza delle persone, crea una cesura nel loro vissuto e i sopravvissuti alle guerre, non possono riappropriarsi della loro vita ex ante.

E’ necessario dunque  che le istituzioni ne riconoscano la nuova condizione esistenziale, ne accolgano i nuovi bisogni e le nuove istanze, provvedendo così ad un giusto ed equo reinserimento nel contesto sociale. Perché si possa parlare di un vero riconoscimento formale bisogna guardare a tale condizione con compassione e comprensione, ma è necessario da parte di tutti, istituzioni e società civile la condivisione e  l’accoglienza  dei nuovi bisogni di cui la vittima è portatrice.

A tal fine l’Anvcg Onlus è  stakeholder privilegiato per la promozione di una cultura della pace e della solidarietà: infatti può essere  cambiata la tipologia della guerra, divenuta  tecnologica e fondamentalista, ma ciò che accomuna le vittime civili di ieri e di oggi è la stessa sofferenza, che appartiene alla categoria dell’umanità.

Il filo rosso che lega la vulnerabilità fra le vittime civili di guerra di ieri e le nuove vittime civili, sia da monito per le future generazioni, perché gli orrori della guerra, che offendono le coscienze dell’umanità non abbiano più a ripetersi.

 

Scheda riassuntiva

Educare all’empatia. Attraverso il racconto fondativo dei testimoni orali presenti, rivolgersi alla società civile perché rifletta sui principi etici  della pace, dell’inclusione, della tolleranza. In particolar modo attraverso le storie di vita di Franco Leoni, sopravvissuto alla strage di Marzabotto, Jerreh Jaiteh, fuggito dalla dittatura in Gambia, Aman Ahmadzai, ragazzo afgano scampato al regime dei talebani e Al Khaled Ahmad, scappato con la propria famiglia dalla guerra in Siria. I giovani, invitati a partecipare all’evento, saranno gli interlocutori privilegiati. Il cambiamento sociale infatti passa tra le nuove generazioni attraverso la diffusione di valori quali la solidarietà, la condivisione, il rispetto, la non violenza e il perdono. Solo il perdono infatti rende liberi e guarisce dalle ferite del passato. Attraverso l’ascolto dei nostri testimoni privilegiati, tutte vittime dell’odio, che hanno deciso di raccontarsi e quindi disporsi alla comprensione del proprio vissuto, delle sofferenze e delle umiliazioni patite, desideriamo “far entrare” i giovani nella storia coinvolgendoli in un percorso di crescita, di arricchimento e di memoria. La memoria è infatti come un filo che va dal passato al futuro. Il futuro è dunque condizionato dal passato e soltanto se faremo memoria e la trasmetteremo alle nuove generazioni, potremo sperare il non perpetrarsi degli errori commessi e far sì che il sacrificio delle vittime civili, di ieri e di oggi non venga dimenticato e la loro “biografia” rimanga quale monito per le coscienze.